Venerdì 26/02/2010
Ore 14.00
Piano piano invadiamo il centro servizi per il volontariato di Modena, sede del social point; noi 14 modenesi, le 3 fanciulle di Imola e tanti amici a salutarci..
Finalmente partiamo! Il clima è bellissimo, tutti ridiamo, questo progetto ha coinvolto tantissime persone, tante energie.
Andiamo in Africa la la la …
Ore 14.30 … ci sediamo a cerchio nella sala riunioni, grande ma troppo stretta per contenere noi e le nostre emozioni; la Vale richiama l’attenzione: indovinate la vostra frase, una maglietta per ogni viaggiatore modenese. “dov’è il mio cellulare?” per Tilde, “se mi sveglio arrivo” si alza Angelo … “si si si no no no” la Patty sorride. “Vibra join social joint .. in Tanzania” la Perpi se la ride e “il Re del Gossip” Luca. “cosa ne pensi dei girasoli? Lo chiediamo ad Emanuele e “è sempre colpa di Bruno” per lui ovviamente, Bruno. “un’ora sola ti vorrei (stavolta ti lascia davvero..)” per la psicologona del gruppo, la Michi, ed “ognuno ha il tutor che merita” per la piccola Vale, tirocinante a Social Point. “stai sereno e non rompere mai…” lo slogan di Social Point per la Manu…e la frase più lunga e più pensata, per il grande Gilberto “Partiamo A Spasso Zuzzurellando Insieme E Non Temiamo Emozioni”…a cui sta “ci hai rotto i bonghi” per Alle.. ed il mitico Maurino che da “Nanni nazionale diventa mondiale” perché per Carlo “Radio liberamente non tanto liberamente in realtà è una dittatura”. E poi Marco che non vuol più partire “Ci mancheremo” sulla sua maglia … e lo porteremo con noi, nei nostri cuori come tutti gli amici che ora ci saluteranno.. ora, alle 14.45 partiamo con tre pulmini guidati da Giuliano, Lucio e Davide verso Verona dove ci accolgono alcuni amici del Centro Diurno di P.Harris per salutarci. Solo allora srotoliamo lo striscione “FARE ASSIEME” e ci stringiamo con Parma, Bologna, Imola dietro di lui.
Son le 19.00 e l’aereo si alza … stiam partendo la la la …. Ma che risate, Carlo che in tranquillità sostiene che è un viaggio molto lungo e stressante, ed è un po’ una dittatura perché bisogna star fermi .. non è stato zitto un attimo.
Alle 22.45 sorvoliamo il Sahara mentre la Vale impreca per i jeans sporcati con la cioccolata di Emanuele, La Patty passeggia per l’aereo, la Perpi beve 2 birre e Bruno si abbarbica sul seggiolino. La Tilde postilla “siam in troppi qua dentro e non si riesce a dormir … siam nei guai … siam nei guai” in effetti chi l’avrebbe mai detto che stiamo sul volo per l’Africa, per Muyeye. Tutti tranquilli e sereni, felici di essere assieme…non dormiamo mai ma sarà bello così perché poi fuori ci sono – 40°C e qui dentro c’è un caldo pazzesco.
Ma il viaggio passa e finalmente stiamo atterrando a Mombasa… Carlo rompe il silenzio “Ciambellini mi sta tornando l’otite!” e tutti ridono fino a piangere: siam questi …
Sabato 27/02/2010
… Quanti pensieri si affollano: come staremo noi? Cosa ci aspetterà al villaggio? Riusciremo a rispettare la loro povertà, a viverla senza starci troppo male? …
La paura del volo, per alcuni il primo volo, la paura di come sarà l’africa, il mangiare, gli insetti…se saremo in grado di sostenere l’ansia, le preoccupazioni di alcuni di noi…
…Dopo un volo di 8 ore e parecchie ore in una corriera traballante avremmo potuto toccare con mano i nostri timori, le nostre aspettative..
L’alba che illumina Mombasa, il viaggio in corriera tra le strade sterrate,..l’africa correva davanti ai nostri occhi, già sveglia alle 4 del mattino: intere viuzze occupate da venditori di frutta, di oggetti, persone che corrono, persone che trainano carretti, bimbi che ci urlano ciao … il caldo opprimente si inizia a sentire…. Abbiamo attraversato diversi villaggi tra Mombasa e Malindi: con le loro facciate lesionate, i tetti di paglia traballanti, le mura spesso divorate da una a tratti folta vegetazione..in ovvia mancanza di servizi di raccolta, tantissimi rifiuti si accumulano per le vie, attirando eserciti di mosche, insetti, e persone povere alla ricerca di cibo..
Un “Jambo!” ci risveglia dai nostri pensieri.. Eccoci arrivati all’albergo dove ci hanno accolto con grande entusiasmo e dove piano piano – pole pole - ci siamo sistemati..
Dopo esserci riposati trascorriamo il pomeriggio per le vie della città vecchia.. tutti che ti seguono nel tentativo di venderti qualcosa o di convincerti a seguirlo…un po’ persi ci siamo affidati ad un giovane ragazzo che ci ha portato tra le vie di Malindi ….
Ogni angolo un negozietto, collanine, pettini, frutta, borsettine, sandali, frittelline da mangiare, african pizza, chapati,….frutta bellissima e colorata.
In molti ci parlavano in italiano, piccole frasi fatte, imparate qua e là… ciao, come stai? Farina? Mi dai soldi? safari? … un sorriso non riempie la pancia, non sfama ma questo ci eravamo ripromessi: non diamo nulla a nessuno se no scateniamo il finimondo.
Qua e la cavi dell’elettricità, ma difficile capire se le “case” accanto ne usufruivano..per non parlare dell’acqua. Ai lati della strada piccole fontane in cui in diversi fanno la fila per lavarsi, ragazzini che giocano a calcio, venditori,…
La Patty si emoziona, qui è stupendo vedendo la gente c’è la realtà delle cose.
Domenica 28/02/2010
Abbiamo fatto una riunione di programmazione della settimana che ci vedrà impegnati ogni giorno al villaggio, il martedì (per chi vuole tutto il giorno) alla barriera corallina, il giovedì, per chi vuole al safari. Gli appuntamenti al villaggio con tutto il gruppo saranno: il lunedì, il mercoledì ed il venerdì; le altre visite sono “libere”.
Il primo incontro con il villaggio noi modenesi l’abbiamo avuto oggi pomeriggio, quando alcuni di noi ci si sono recati.
Abbiamo attraversato alcune vie di Malindi, il mercato, per poi prendere una strada di terra piena di buche, che contrasta con gli oleandri ai margini, alti, quasi a proteggere le ville degli italiani che vi risiedono, e che ci porta a Muyeye, al cortile della nostra scuola.
Al centro del piazzale all’ombra di un immenso baobab due cartelli in ferro indicano che ci siamo anche noi: itake e parole ritrovate.
Che emozione vederla! C’è davvero. Uno stabile con 5 laboratori, 1 cucina, uno spazio dove si mangerà assieme, la casa per il custode.
È domenica, nessuno è al lavoro ed Alex ci porta a visitare il villaggio e la sua casa. Alex ha una giovane moglie di 26 anni e tre bimbi; sono cattolici dunque la domenica son tutti in chiesa…
Un caldo opprimente accompagna ogni nostro passo…ma soprattutto ogni angolo attira la nostra attenzione: capanne di fango e sterco di mucca fungono da abitazioni, tettoie di steli di miglio rette da legni biforcuti contengono piccoli negozietti….poche case in mattoni, compresa quella di Alex. Ogni anno nel periodo dei monsoni molte case spariscono per essere poi ricostruite.
Non vediamo signori anziani al villaggio solo tantissimi piccoli bimbi… e Manfred, la saggia Tilde.. certo che l’aspetto fisico non ha molto a che vedere con l’età reale: si invecchia presto a vivere questa vita, lo stesso Alex, che ha 28 anni, sembra averne molti di più…
Lasciamo Alex alla sua famiglia per raggiungere gli altri all’albergo; con Alex ci siam ritrovati verso le 14 per un’uscita alla depressione di Marafa, spettacolare. Ce l’abbiamo fatta, aiutandoci assieme, rischiando di cadere, barcollando tenendoci per mano abbiamo attraversato il canyon, felici di esserci riusciti tutti assieme!
Lunedì 1/03/2010
All’alba delle 7.30 la Michi, la Vale e la Manu si son alzate per andare a comprare oltre 400 francobolli da attaccare alle cartoline da rispedire a tutti i cittadini che hanno creduto in noi! …
Il villaggio dove siam ritornati nel pomeriggio ci ha accolto in un modo tutto diverso: migliaia di bimbi, impossibile contarli, dicono 1760, sarà…. Tutti che ti seguono per chiederti qualcosa..un po’ di farina, un euro, una penna…un ragazzino che ha conosciuto la Perpi domenica gli porta un braccialetto con su scritto MAX; un piccolo regalo che ci commuove per l’euro regalato il giorno prima…ognuno di noi ha un bimbo per mano, impossibile non concedergli almeno quella..ed ognuno di noi sta conoscendo qualcuno…la Patty, qualche lacrima sul suo viso, tanta tristezza nel vedere così tanti bimbi, scalzi, mal vestiti. La Tilde - Manfred che conosce il piccolo Tommaso.
Ma questa è la loro vita e se li guardi per un istante ti accorgi di una serenità che va oltre. Che è difficile da capire ma che ti fa dire che è una povertà dignitosa. Alcuni di noi riflettevano su come certi problemi qui passerebbero in secondo piano.. forse l’ansia non esisterebbe e forse la “maurite” uscirebbe per sempre da Maurino…
Alle si emoziona tantissimo quando firma per il gruppo modenese il registro che raccoglie il sindaco delle scuole “qui ho trovato una gioia che in Italia non c’è” la sua frase ed accanto un grazie, e la firma. Bellissimo. Passate le paure, passato il mal di pancia, passata l’ansia. Da un lato…dall’altro emerge il lato dell’africa che meno ci piace, quello fatto di chi tenta di approfittarsene, come il sindaco.. che ci chiede 200€ per far la merenda con tutti i 1760 bimbi e noi … comprando pane e succhi al suo negozio….
Martedì 2/03/2010
è l’emozione di Manfred – Tilde – che ci dice di non aver mai visto una cosa così bella, l’atollo bianco e la barriera corallina piena di pesci colorati che ti vengono addosso, un bagno favoloso coi pesci colorati che ci venivano vicino vicino.… una escursione bellissima ma l’attrazione verso Muyeye è davvero troppo forte … così che anche oggi pomeriggio alcuni di noi ci si sono trovati…
Non abbiam visto adulti nel villaggio… con la sua camicia bianca, la maglietta di parole ritrovate, i jeans Alex assieme ai giovani che lavorano con lui, il sindaco, la preside ed il mitico bidello sono gli unici adulti con cui ci siamo rapportati.. gli occhi dei bimbi sono vivaci e sereni, e c’è grandezza nella loro semplicità, pensiamo.
Nonostante tutto ci siamo trovati bene, l’impatto con i bambini della scuola è stato positivo anche se ci chiedono in continuazione medicine ed aiuti…. L’incontro coi bimbi i Muyeye, che non volevano lasciarci mai soli, ne avevamo aggrappati due o tre per ogni mano è stato ancora una volta una emozione forte..e ci siamo lasciati con la promessa di rivederci domani per mangiare assieme.
Mercoledì 3/03/2010
Questa mattina noi modenesi ci siamo un po’ sparpagliati per l’Africa… una parte di noi a Malindi, la Patty è andata con la troupe a prendere un regalo per Marco, Luca è andato a far spesa con Emanuele ed il sindaco per i 1760 bimbi … Mentre la Manu e Gilberto erano con l’architetto, Tilde e Michela hanno cucinato con Gioia, la moglie di Alex….
Luca racconta che si è divertito, che hanno mangiato e bevuto il cocco… poi han comprato pane, bibite, caramelle, posate, piatti …
E la Michi “Abbiamo pranzato a Muyeye….conciliare le varie idee e aspettative dei gruppi, dei referenti, del villaggio e dei singoli è stato veramente faticoso e probabilmente lo scambio ha anche deficitato in alcuni punti, tuttavia il pranzo si è fatto ed io personalmente ho avuto la grande opportunità di partecipare alla spesa e alla preparazione del pranzo.
Insieme ad Alex, Manuela, Tilde e Gilberto sono andata a comprare la farina per la polenta, fagioli, spinaci patate e noci di cocco che dovevano servire per il nostro pranzo.
E’ stato interessante fare acquisti nei loro negozi che non corrspondono esattamente al nostro concetto di supermercato, sono ricavati in una stanza della casa e in esposizione vi sono merci in modiche quantità in contrasto con la grande varietà (farmaci, ortaggi, sabbia, uova,...) A tratti fare la spesa per tante persone in un villaggio così piccolo, pur con la consapevolezza di averne, almeno per questa volta, incrementato gli introiti, è stato imbarazzante poiché anche durante questo momento eravamo attorniati da bambini che chiedevano soldi e caramelle e noi stavamo comprando una quantità di cibo che probabilmente una famiglia del luogo consuma in un anno, in un’unica soluzione, e naturalmente non era pensabile comprare qualcosa ad ogni bambino, e non lo volevamo. Tanto più che Emanuele e Luca stavano acquistando, accompagnati dal Sindaco (nel suo negozio), pane e succo di fratta per la merenda dei bambini.
Dopo l’acquisto Manuela e Gilberto hanno raggiunto l’architetto, noi ci siamo trasferiti a casa della madre di Alex dove con la moglie di Alex ad altre donne del villaggio io e Tilde abbiamo condiviso alcuni momenti di preparazione del pasto.
Abbiamo pulito e tagliato gli spinaci, loro non hanno taglieri su cui poggiarsi quindi fanno dei rotoli di foglie di spinacio da tagliare in pezzetti minuscoli con coltelli pochissimo affilati.
Devo ammettere che la mia buona volontà era decisamente superiore alla prestazione ottenuta, sebbene le signore mi abbiano assistito con pazienza nel mio maldestro tentativo di imitarle; d’altronde per una che gli spinaci li ha sempre visti solo al reparto surgelati della Coop il passo non era poi così breve… con la cipolla però me la sono cavata decisamente molto meglio.
E’ stato bello comunicare in diverse lingue e primo fra tutti il linguaggio internazionale dei segni e delle espressioni facciali. Per me è stata una esperienza importante proprio perché ho appreso, in minimissima parte,qualcosa sulle loro abitudini e sul loro stile di vita in un diretto confronto con il mio.
A Muyeye non esiste il gas per cui non si cucina sul fornello ma su fascine di legna cinte da pietre site davanti alle abitazioni. Credo che questa sia stata la parte più appagante della giornata poiché è stato il momento in cui ho avuto maggiormente la sensazione di uno scambio effettivo in cui si sono confrontati, parlando a lungo senza parole, due mondi diversi e da come da ciò sia nata una bella esperienza di fare assieme.
Per pranzo siamo stati raggiunti dal gruppo e qui il mio punto di vista è un po’ cambiato, noi non eravamo ospitatati dal villaggio ma dalla famiglia di Alex, ed è stato abbastanza particolare trovarsi a tavola a mangiare le cose che poco prima avevo goffamente cucinato insieme a loro servite ai membri del gruppo come al ristorante dai padroni di casa intenti a servirci e a riverirci, invece di prendere parte con noi al pranzo per poterci scambiare ancora sensazioni e pezzi di vita.
Ma il momento più deludente tuttavia è stato quello della merenda in cui il pane ed i succhi di frutta sono stati portati fuori per noi, che di sicuro non necessitavamo della merendina pomeridiana, davanti ai bimbi che si accapigliavano per poterne avere un po’ ed i maestri che li punivano a bastonate per farli stare indietro.
A questo punto devo ammettere che non ho retto ed ho abbandonato il campo.
Come un po’ tutto il gruppo noi ci aspettavamo che la merenda fosse distribuita nelle classi in un clima di relativa tranquillità.
Devo ammettere che questa esperienza mi ha fatto riflettere sulla nostra esigenza di esportare una nostra abitudine, la merenda, in un luogo dove spesso non hanno i soldi nemmeno per il pranzo e di farlo una –tantum.
Le incomprensioni sono nate sicuramente da tanti fattori ma anche dal fatto che nell’approccio all’altro non possiamo sempre porci come coloro che possono dare ma anche capire che cosa possiamo apprendere ed in questo caso la nostra indelicatezza è costata bastonate gratuite a qualche bambino.”
Giovedì 4/03/2010
Sveglia all’alba, alle 4, per alcuni di noi: Angelo, Alle, la Patty, Maurino, Bruno, Emanuele, la Manu, ed alcuni del villaggio son andati al safari …. Un’immensa savana rossa, e tantissimi animali da togliere il fiato.
Venerdì 5/03/2010
Ultimo giorno …. Ma l’Africa non vuole farsi lasciare …
Mattinata tranquilla, a Malindi, e pomeriggio a Muyeye .. .al villaggio c’era festa, partita di calcio fra classi locali, gara di danza… cittadini del mondo, tutti alla pari.
Alcuni di noi hanno fatto una breve recita della favola di pinocchio mentre l’euforia cresceva per la partita di calcio, finita con un meritatissimo pareggio : 1 – 1.
… e dopo aver colorato di rosso la nostra regione siamo tornati il albergo, con un po’ di tristezza nel cuore ma certi che è solo un arrivederci..
martedì 16 marzo 2010
domenica 14 marzo 2010
“Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta”
La solita, consumata rivista della compagnia aerea, sfogliata distrattamente in un momento di annoiata attesa dell’imminente atterraggio, mi svela inaspettatamente il senso di questo viaggio, di questa nuova avventura appena incominciata. Una frase, scritta da una non meglio identificata scrittrice e che dice pressappoco così: “Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta”
Questo viaggio è stato l’incontro: con l’altro che sta fuori di noi, il nostro compagno di viaggio, quello già conosciuto e riconosciuto e quello ancora da scoprire, con le sue differenze, con le sue spigolosità, con le sue caratteristiche che immediatamente ce lo rendono familiare, oppure ostile, forse amico.
L’incontro con l’altro che sta fuori di noi e che ci accoglie in una realtà diversa dalla nostra, che ha un colore diverso, un sorriso disarmante, lo sguardo accattivante, alle volte distante, più spesso amico, quasi mai disinteressato.
E poi l’incontro con il nostro “altro”, quello interno, quella parte che viene fuori, emerge, in tutta la sua crudele, inaspettata, e sgradita presenza, quell’altro brutto, negativo, cattivo, che non pensavamo di avere dentro, che credevamo non ci appartenesse e che invece, provocato, emerge sulla superficie delle nostre supposte e rassicuranti buone qualità.
A botta calda, dico, che questa esperienza mi ha messo a confronto diretto con le mie profonde contraddizioni, con il mio senso di impotenza, di fronte alla richiesta semplice, diretta, immediata dei bambini, che a centinaia si affollavano intorno a noi nel villaggio e che quella presenza assillante riusciva nel giro di pochi minuti a diventare invadente, proprio perché legittima, fastidiosa, proprio perché diretta al cuore, al cuore nostro e al cuore del problema, che è il nostro avere troppo e il loro avere nulla e non riuscire a gestire questa contraddizione e questa ingiustizia nel nostro modo classico, razionale e politicamente corretto; quella presenza che smetteva d’un tratto di essere gratificante e tornava ad essere fastidiosa come una mosca che vorremmo se ne andasse da sola e non vorremmo essere costretti a scacciare, a scacciare in malo modo, persino a schiacciare, per non sentirne più il ronzio.
Nonostante tutto però siamo riusciti a “starci dentro”, nessuno escluso, e questo è un punto a nostro favore; non ci siamo sottratti, abbiamo accettato di poter stare anche male, decisi a ricavare da questa esperienza il massimo della positività, per farne bagaglio prezioso per il nostro ritorno, da viaggiatori che hanno viaggiato davvero.
Anna
Questo viaggio è stato l’incontro: con l’altro che sta fuori di noi, il nostro compagno di viaggio, quello già conosciuto e riconosciuto e quello ancora da scoprire, con le sue differenze, con le sue spigolosità, con le sue caratteristiche che immediatamente ce lo rendono familiare, oppure ostile, forse amico.
L’incontro con l’altro che sta fuori di noi e che ci accoglie in una realtà diversa dalla nostra, che ha un colore diverso, un sorriso disarmante, lo sguardo accattivante, alle volte distante, più spesso amico, quasi mai disinteressato.
E poi l’incontro con il nostro “altro”, quello interno, quella parte che viene fuori, emerge, in tutta la sua crudele, inaspettata, e sgradita presenza, quell’altro brutto, negativo, cattivo, che non pensavamo di avere dentro, che credevamo non ci appartenesse e che invece, provocato, emerge sulla superficie delle nostre supposte e rassicuranti buone qualità.
A botta calda, dico, che questa esperienza mi ha messo a confronto diretto con le mie profonde contraddizioni, con il mio senso di impotenza, di fronte alla richiesta semplice, diretta, immediata dei bambini, che a centinaia si affollavano intorno a noi nel villaggio e che quella presenza assillante riusciva nel giro di pochi minuti a diventare invadente, proprio perché legittima, fastidiosa, proprio perché diretta al cuore, al cuore nostro e al cuore del problema, che è il nostro avere troppo e il loro avere nulla e non riuscire a gestire questa contraddizione e questa ingiustizia nel nostro modo classico, razionale e politicamente corretto; quella presenza che smetteva d’un tratto di essere gratificante e tornava ad essere fastidiosa come una mosca che vorremmo se ne andasse da sola e non vorremmo essere costretti a scacciare, a scacciare in malo modo, persino a schiacciare, per non sentirne più il ronzio.
Nonostante tutto però siamo riusciti a “starci dentro”, nessuno escluso, e questo è un punto a nostro favore; non ci siamo sottratti, abbiamo accettato di poter stare anche male, decisi a ricavare da questa esperienza il massimo della positività, per farne bagaglio prezioso per il nostro ritorno, da viaggiatori che hanno viaggiato davvero.
Anna
4 marzo 2010 La folla – uomini, donne e bambini kenyoti
Con un balzo di 7.000 km. Nella notte siamo scivolati dalla bruma padana all’aeroporto di Mombasa. Al nostro arrivo, prima dell’alba, la temperatura era di 28°.
Durante il trasferimento in bus a Malindi, la nostra destinazione, una moltitudine di persone si spostava a piedi sulle carreggiate laterali in terra battuta in ogni direzione, di buon passo, ognuno verso mete a noi sconosciute. Quasi una migrazione silente nel traffico convulso di camion, vecchie auto, bus.
Il primo impatto con la “nostra” scuola a Muyeye ha avuto un aspetto simile; qui una moltitudine di bambini: 1750 studenti su 20.000 abitanti del villaggio. Ti circondano, molti ti prendono per mano, “ciao baba”, in italiano chiedono il tuo nome, si entusiasmano di venire fotografati e sottovoce con dignità ti chiedono “caramella”, “cento scellini” e ti seguono a grappoli.
Il loro abbigliamento denota tanta povertà.
La prossima volta vi parlerò ancora di loro. Jambo!
Egidio Bracco
Durante il trasferimento in bus a Malindi, la nostra destinazione, una moltitudine di persone si spostava a piedi sulle carreggiate laterali in terra battuta in ogni direzione, di buon passo, ognuno verso mete a noi sconosciute. Quasi una migrazione silente nel traffico convulso di camion, vecchie auto, bus.
Il primo impatto con la “nostra” scuola a Muyeye ha avuto un aspetto simile; qui una moltitudine di bambini: 1750 studenti su 20.000 abitanti del villaggio. Ti circondano, molti ti prendono per mano, “ciao baba”, in italiano chiedono il tuo nome, si entusiasmano di venire fotografati e sottovoce con dignità ti chiedono “caramella”, “cento scellini” e ti seguono a grappoli.
Il loro abbigliamento denota tanta povertà.
La prossima volta vi parlerò ancora di loro. Jambo!
Egidio Bracco
venerdì 12 marzo 2010
si va avanti...
Carissimi, comunico che domani, 11 marzo, saremo presenti a imola per parlare della nostra esperienza africana ai ragazzi delle scuole.
Complice la neve, ci siamo liberati tutti degli impegni di lavoro e altro e saremo presenti, io, Maurizio, Elettra e Katia, raggiungeremo Fabio che parte direttamente da San Giorgio e ci incontreremo con Marisa che farà gli onori di casa.
Porteremo anche le foto di Katia, così come sono, senza selezione, nel caso si riuscisse a proiettarle.
Vedremo di passare una bella giornata!
Anche a nome del gruppo al completo.
daniela scrive...
La prima sensazione che ho avuto atterrando in questa terra è stata di minoranza, un puntino bianco in un mare nero...
Ma è un'emozione sicuramente diversa da ciò che provano loro a casa nostra.
Noi siamo una minoranza che cammina a testa altra in mezzo a queste persone, che si sente padrona in una terra non sua.
E il loro modo di essere servizievoli conferma quasi l'idea della nostra superiorità su di loro...
No!!!
Chiudi gli occhi e tocca un viso, troverai che occhi, un naso, una bocca, non il bianco o il nero...
Per capire se il viso toccato è bianco o nero, dipenderà dalla presenza o meno di un sorriso!!!!
Daniela
sabato 6 marzo 2010
Il gruppo - come è andata l'esperienza
La troupe che sta girando il documentario ha proposto nei primi giorni un momento di confronto in gruppo tra le persone che erano state scelte come protagoniste, coinvolgendo altri che si sono dichiarati interessati.
Il documentario diventa allora un momento di scambio formale sui vissuti dell'esperienza e acquista un grandissimo valore per il gruppo regionale, che solo in parte si conosce e talvolta fatica a coordinarsi nella sua totalità.
Quando quindi Margherita, la regista, ha creato le condizioni per ritrovarci inseme per parlare di come, alla fine, era andata l'esperienza, il gruppo ha accolto questa come una occasione di verifica globale e non solo dei vissuti personali.
work in progress...
aggiornero' a breve
erika
Iscriviti a:
Post (Atom)